Nei giorni 8 - 15 - 20 Luglio 2021 si sono svolti, su piattaforma Zoom e, contemporaneamente, trasmessi sul canale YouTube dell’Associazione Senza Zaino, nell’ambito delle iniziative estive di formazione 3 seminari su: LA LEADERSHIP EDUCATIVA LEGGERA E LA COMUNITÀ EDUCANTE. I tre seminari, rivolti a dirigenti scolastici, a docenti e a quanti interessati al management scolastico, allo sviluppo della leadership educativa e alla promozione della comunità educante, sono anche inseriti nell’ambito delle azioni del progetto L’Ora di Lezione non Basta (LODLNB), finanziato dall’Impresa Sociale Con i Bambini, che ha come missione lo sviluppo della comunità educante. Questi incontri - che nascono nell’intento di porre le basi di un dibattito futuro nel movimento Senza Zaino, in vista anche della revisione delle linee guida - si sono avvalsi di illustri e competenti relatori.
Il 1° INCONTRO svoltosi l’8 LUGLIO 2021 dalle 9.00 alle 12.00, è stato coordinato e moderato da Marzia Nieri - responsabile dell’Innovazione didattica. Il tema era “COMPRENDERE I NUOVI SCENARI DOPO LA PANDEMIA”. Marzia Nieri ha presentato l’iniziativa indicando la necessità di analizzare i cambiamenti di natura sociale, culturale e pedagogica, determinati dalla cesura epocale del Covid -19 e le questioni degli effetti che si sono avuti sulla crescita dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze. Davanti si sono aperte nuove le sfide neo contesto globale per l’educazione.
Alessandro Rosina - esperto di povertà educativa, coordinatore del “Rapporto giovani” dell’Istituto G. Toniolo - a partire dal recente Rapporto Giovani e autore di Il futuro non invecchia, Vita e Pensiero (2018) - ha analizzato la situazione italiana post - pandemia in Italia, confrontandola con quella del resto d’Europa. Emergono, insieme ad un “degiovanimento” della società, un parallelo aumento dei neet (giovani né occupati né in formazione), rispetto al periodo post recessione del 2008 (in cui, comunque, i dati erano già più alti del resto d’Europa), una diminuzione dell’occupazione, un aumento della dispersione scolastica, dovuto alla DAD, e una diminuzione della fiducia nelle istituzioni. Cosa e come cambiare, per imprimere una svolta positiva al futuro dei nostri giovani? Quale può essere la chiave di lettura di ciò che è accaduto? Gli aspetti più rilevanti sembrano essere questi: valorizzazione di tutto ciò che è collettivo, protezione delle fragilità degli altri in realtà anche nostre; utilizzo al meglio, all’interno di un orizzonte di senso, delle nuove tecnologie per renderci protagonisti del futuro digitale; sostegno per la sensibilità dei giovani mostrata nei confronti dell’ambiente per incamminarci verso una reale Green Economy, accrescendo così le competenze per far ripartire il Paese nella giusta direzione.
Chiara Giaccardi - docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica di Milano, autrice, con M. Magatti di Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo, Il Mulino (2020) - dal canto suo, ha ripreso le riflessioni fatte da Rosina con uno sguardo più squisitamente filosofico e antropologico. Chiara Giaccardi ha contestato la metafora della “ripartenza”, tanto usata quanto abusata. La ripartenza porta con sé il concetto di ripresa a partire dallo status quo ex ante, implica un’idea meccanicistica, che mal si sposa con la natura dell’essere umano. Quindi, dobbiamo trasformare l’accaduto in una “catastrofe vitale” (De Martino): non ripartenza, ma rigenerazione. Per fare ciò è necessario analizzare le criticità che esistevano prima del Covid - 19. Fra queste la scuola occupava già un posto importante nel suo essere, normalmente, il luogo di trasmissione di un sapere stabilizzato, incapace ad accendere nei discenti la passione e la voglia di apprendere. I docenti dovrebbero dunque imparare a costruire con i loro studenti il sapere, mettendoli in grado di contribuire alla sua definizione. Quale orizzonte di senso dovremmo darci per la rinascita? Dobbiamo necessariamente capire che bisogna “inventarsi” l’avvenire, non cercare di rientrare in schemi precostituiti, ma immaginarsi un nuovo futuro, attraverso quella che Giaccardi chiama la protensione: rispetto al futuro di cui non abbiamo le mappe. E protensione implica l’apertura all’inedito, all’ignoto. Ciò che noi sogniamo deve essere non un divenire, ma un avvenire (avventura). La vita è rischio, la staticità algoritmica la morte. Il sogno è un futuro non ancora scritto e che non abbiamo il potere di scrivere, ma che non possiamo fare a meno di arricchire con il nostro contributo.
Il 2° INCONTRO, svoltosi il 15 LUGLIO 2021 e coordinato da Donatella Turri - direttrice della Caritas Diocesana di Lucca, coordinatrice del progetto LODLNB e membro dell’osservatorio per l’infanzia del Ministero della Famiglia - ha avuto come argomento “INNOVARE IL MANAGEMENT E LA LEADERSHIP”. Donatella Turri ha ricordato che l’intento era di aiutare a riflettere sulle innovazioni organizzative che possono facilitare e accompagnare i cambiamenti richiesti al sistema scolastico. Ella ha anche precisato il focus orientato in modo particolare sul tema del ruolo della scuola come driver di comunità educanti e sulle innovazioni possibili, pensando ad uno stile di leadership educativa leggera e sulla promozione della comunità professionale dei docenti.
Felice Alberto De Toni - docente di Ingegneria Economico-Gestionale presso l’Università di Padova - ha introdotto al concetto di auto-organizzazione che rappresenta la sola cornice entro cui le scuole possono trovare una vera realizzazione, chiarendo che non c’è azione educativa o pedagogica in grado di essere realizzata senza una efficace struttura organizzativa. Attraverso un excursus puntuale fra teorie scientifiche, pedagogiche e di management, De Toni ci ha condotto a prendere atto che la sola via di salvezza per un efficace funzionamento di organizzazioni “fluide”, instabili e a legami deboli come le scuole, è un solido impianto auto-organizzativo che, basato su un sapiente e ragionato empowerment e su una saggia vision del dirigente, moltiplichi il potere, suddividendo compiti e responsabilità. Tutto ciò consente, paradossalmente, a chi dirige, la possibilità di “defilarsi” senza che l’impianto organizzativo ne risenta. Purtroppo questo può e deve basarsi solo sulle capacità delle singole scuole e istituti, poiché, almeno attualmente, l’impianto normativo e organizzativo centrale della scuola italiana non consente altre soluzioni. E’ importante per tale ragione creare un contesto dove la vera motivazione sia l’auto-motivazione, frutto di una visione condivisa dove il leader fornisce l’energia per il cambiamento, basato sulla partecipazione e sull’assunzione di responsabilità di tutti, in una logica di intra-imprenditorialità.
Marco Orsi - presidente dell’associazione Senza Zaino e ideatore delle scuole Senza Zaino e autore del libro Uno zaino troppo pesante, Maggioli (2021) - riprendendo le suggestioni dei precedenti relatori, le ha inserite nella cornice del Global Curriculum Approach. Orsi è partito dall’analisi dei risultati della scuola, attingendo anche al Rapporto Giovani citato da Rosina, per evidenziare i risultati tutt'altro che brillanti della scuola italiana, utilizzando l’immagine suggestiva ed evocatrice di un pachiderma liquido. In questa prospettiva ha sottolineato alcuni problemi strutturali, come l’eccessiva femminilizzazione del personale scolastico, che espone gli studenti ad un modello pedagogico prevalentemente materno, e l’abbandono della manualità e delle arti (compensato invece negli ultimi tempi da una spinta a passare dal modello STEM a quello dello STEAM, con l’inserimento, appunto, dell’arte accanto alle discipline scientifiche). Fra le altre criticità ha sottolineato anche il disciplinarismo della nostra scuola, particolarmente inadeguato nel primo ciclo, ma anche la scarsa attenzione alla scuola intesa come unità di base (il plesso), la rigidità del sistema cells & bells, l’assenza di un middle management. Come riprendere la strada in modo più efficace? Si tratta, secondo il relatore, di connettere, didattica e management, educazione e organizzazione, non demonizzando le gerarchie che devono essere sempre di servizio (rispettando merito e responsabilità), poiché le relazioni umane, per loro stessa natura, sono sempre asimmetriche. Occorre inoltre e sviluppare narrazioni della vita della scuola che vadano oltre la burocrazia e la rigidità degli spazi e dei tempi, per entrare in una comunità in cui vengano rivalutati tutti gli aspetti della vita umana. Di tutto questo, del resto, ci parlano, appunto, l’esperienza della scuola Senza Zaino e il progetto LODLNB, con i suoi sette luoghi: del lavoro, del mercato, della comunicazione, della discussione, delle risorse, delle arti e del gioco, dell’ascolto e della cura. La scuola diventa così un vero luogo di lavoro per adulti e piccoli.
Il 3° INCONTRO si è tenuto il 20 LUGLIO 2021 ed è stato coordinato da Riccardo Romiti - esperto in metodologia dei sistemi e direttore del Progetto LODLNB - ed ha avuto come argomento “PROMUOVERE LA COMUNITÀ’ EDUCANTE” . Romiti ha ricordato l’obiettivo di considerare la costruzione e animazione della comunità educante, dove la scuola diventa capace di assumere un ruolo di driver attorno a significati e processi condivisi, verso i patti educativi territoriali. Romiti ha precisato che è importante avere indicazioni e esperienze pratiche, nuove professionali, servizi e modalità per facilitare il lavoro di costruzione e animazione della comunità educante.
Francesco Marini - responsabile delle attività istituzionali dell’Impresa sociale “Con i Bambini” - ha approfondito gli elementi che consentono la promozione della comunità educante, nell’ottica di dare nuova linfa al sistema educativo, di inserirlo a pieno titolo nel tessuto sociale e di sconfiggere la povertà educativa. Oggi, più che mai - ha sostenuto il relatore - è importante la connessione con il territorio. Ma cosa intendiamo quando parliamo di comunità educante - si è chiesto? Parliamo di un sistema educativo profondamente incardinato nel territorio stesso che, proprio per questo non può essere ridotto allo spazio-scuola e al tempo-scuola, ma deve chiamare in causa tutto il sistema educativo del territorio prossimale. La scuola ha il compito di fare da pivot, guardando alla realtà circostante, per comprendere, conoscere, valorizzare e mettere in comunicazione le potenzialità presenti nello spazio di riferimento, e attivare un campo comunedi esperienza e condivisione. Naturalmente occorre valorizzare il capitale educativo della comunità, tramite presìdi di educazione formale(scuole, enti di formazione, ecc.), non formale(associazioni, sport, parrocchie, ecc.) e informale (luoghi di aggregazione e auto-organizzazione), per coinvolgere attivamente ragazzi e famiglie, mettendo “a valore” le loro competenze. Ma naturalmente varie azioni devono aiutare a tradurre la comunità educante in attività concrete e una di queste sono i patti educativi di comunità, di cui recentemente anche il MIUR si è occupato a più riprese (Piano Scuola 26/6/20, che cita gli artt. 2, 43 e 118 c.4 della Costitutzione). Si tratta di alleanze formalizzate tra istituzioni scolastiche e istituzioni del territorio per favorire la presa in carico di minori che versano in condizioni di fragilità accentuata, in questa fase, anche dall’emergenza sanitaria in corso. Il Patto, però, non deve essere solo uno strumento di esclusiva risposta all’emergenza, ma deve divenire parte del sistema educativo per aiutare gli adulti a conseguire maggiore autorevolezza in grado di aiutare gli adolescenti e i preadolescenti a dare significatoad ogni relazione, in un sistema di valori condivisi.
Cristiano Bottone - promotore dell’approccio organizzativo e di comunità Sociocracy - ha introdotto gli studi fatti dal Transition Movement, nato in UK intorno al 2005, e ormai esteso a livello mondiale nei contesti più diversi, sottolineando che la comunità “è” educante a prescindere dal suo intento dichiarato invitando al pensiero sistemico che allarga gli orizzonti ai problemi di un mondo anche lontano da noi, prendendo in esame tutte le scale di interpretazione dei fenomeni che si verificano nello stesso tempo. Il suggerimento del movimento Transition è affrontare la realtà secondo tre parametri fondamentali: la testa, il cuore, le mani.
La testa ci porta ad una riconversione: in tutto il mondo, oggi, ci raccontiamo delle versioni della realtà che spesso corrispondono molto poco alla realtà stessa. I sistemi scolastici che dovrebbero essere il primo motore per la comprensione della realtà, spesso sono arretrati e inadeguati a farlo. La comunità educante può dare senso a ciò che accade in un dato contesto, per poi ricollegarsi alla dimensione globale. La comunità ha il potere di individuare concetti e processi nuovi, per gestire cambiamenti su scala epocale. Per farlo non basta possedere gli strumenti concettuali e pratici per intervenire, ma è necessario scegliere quelli giusti.
LaSociocrazia 3.0 (o governance dinamica) si sta mostrando efficace per ancorare decisioni e processi al senso, e non alle ideologie o ai giochi di potere, ai bisogni reali e non a quelli indotti; per poter fare delle scelte sul futuro che l’umanità vuole darsi. Il secondo tassello del mondo di Transitionè il cuore che rappresenta il curarsi dei sistemi relazionali in modo diverso dal solito, abbandonando gli ideologismi e le false idee di appartenenza e relazionandoci con tutti, non solo con chi è come noi, staccandoci dal chi siamo e focalizzandoci sul senso delle cose. Terzo elemento sono le mani, perché il mondo possa cambiare sul serio e non in modo marginale. Paradossalmente oggi, che sappiamo tanto di tutto, siamo spesso incapaci di usare gli strumenti giusti per raggiungere i risultati. Abbiamo miriadi di strumenti, ma non sappiamo scegliere quelli che sono davvero utili. La comunità educante ha il vantaggio, una volta individuato il bene comune di poter essere più rapida nell’indurre il cambiamento, purché usi gli strumenti giusti. Pensiamo alla definizione di comunità educante come un “processo attrezzato con gli strumenti giusti” per cambiare il mondo!
Pasquale Bonasora - rappresentante dell’associazione LABSUS nata nel 2015 per svolgere ricerca sulle esperienze di cittadinanza attiva e sui patti di comunità - ha messo in evidenza Il principio di sussidiarietà orizzontale introdotto nel 2011 con la modifica dell’art. 118 c.4 della Costituzione Italiana. Qui si dice che i cittadini, liberamente associati, o individualmente, possono svolgere attività di interesse generale, potendo così perseguire le stesse attività delle istituzioni nella cura del territorio e della società. Le istituzioni dovrebbero pertanto favorire ogni autonoma iniziativa privata, costruendo relazioni di fiducia con cittadini e terzo settore, attraverso una presa di responsabilità. Quali sono, però, gli strumenti attuativi di questo processo? Sono i Patti di collaborazione, nati nel 2014 a Bologna, con la stesura di un regolamento che permette a cittadini ed istituzioni di condividere impegni di cura dei beni comuni. In questo vediamo la prima affinità con i patti educativi. In tale prospettiva di sussidiarietà orizzontale si possono vedere le istituzioni condividere il potere con gli altri soggetti. Il Patto di collaborazione diviene così la garanzia per affrontare molti problemi che le pubbliche amministrazioni non sono più in grado di risolvere, utilizzando non il potere, ma la corresponsabilità. E’ evidente che questo modello non può prescindere dalla partecipazione della scuola che, insieme agli altri attori del territorio, allarga i confini del suo esistere nella comunità di riferimento, diventando essa stessa un bene comune e quindi oggetto della “cura” di tutta la collettività. Proprio dal progetto Scuole aperte partecipate, nasce la proposta del Miur dei Patti educativi di comunità. Bisogna allora lavorare sempre di più su una comunità educante agita e partecipata, che apra prospettive di vita divergenti rispetto a quelle che, ad esempio, un quartiere degradato potrebbe offrire ai giovani. Con i Patti le strade del cittadino e dell’amministrazione non si separano, non c’è l’affidamento di un compito dall’uno all’altro in modo verticale. Il principio di sussidiarietà orizzontale, infatti, impegna nella co-progettazione sia le istituzioni sia la comunità, in un percorso che si autoalimenta continuamente. Questo può diventare un modo per mettere la scuola al centro, in un progetto di trasformazione della realtà. L’impegno è ricercare le opportunità per immaginare un diverso futuro per le nostre città e per ogni persona che ci vive.